… ché si brinda al sito nuovo! Grazie a Matteo, hermano de leche e webmaster di fiducia, ho una nuova versione del blog/sito o quel che l’è. Non sarò costante come Davide, altro hermano de leche e sceneggiatore di fiducia, ma cercherò di aggiornare il sito più spesso. Suona come una minaccia, nevvero? Insomma, torno […]
L'articolo A me una Gaglhioffen… sembra essere il primo su Fabrizio Lo Bianco.
… ché si brinda al sito nuovo!
Grazie a Matteo
, hermano de leche e webmaster di fiducia, ho una nuova versione del blog/sito o quel che l’è. Non sarò costante come Davide
, altro hermano de leche e sceneggiatore di fiducia, ma cercherò di aggiornare il sito più spesso. Suona come una minaccia, nevvero? Insomma, torno all’antico, riportando questo blog a essere il “Diario di uno sceneggiatore”, anziché una vetrina un po’ asettica dei miei lavori. E inauguro la nuova veste grafica con un raccontino scritto l’estate scorsa. Non leggetelo prima di mettervi al volante, mi raccomando.
Federico Farina da ragazzo amava correre. «La migliore promessa dai tempi di Pietro Mennea» si diceva nell’ambiente. E si pronosticavano grandi successi per lui e una probabile convocazione alle Olimpiadi.
Da ragazzo amava anche leggere. Pirandello gli fu imposto dalla scuola, ma poi imparò ad amarlo e lo stesso accadde per Verga, Manzoni e perfino per quello “sfigato di Leopardi”, come lo chiamava quasi con affetto. E da ragazzo Federico amava anche divertirsi, come tutti i suoi coetanei. Con la sua compagnia di amici, appena poteva andava al mare, a volte anche quando c’era scuola, ma non si preoccupava più di tanto. Era bravissimo a imitare le firme dei genitori e aveva una capacità impressionante di recuperare le lezioni perse: se gli altri ci mettevano due ore a tradurre una versione di latino, lui in quarantacinque minuti al massimo l’aveva terminata.
E faceva pure copiare i compagni (che infatti lo stimavano moltissimo).
Aveva un debole per Vasco Rossi e i Genesis. E la birra. Intendiamoci: non è che fosse alcolizzato. Gli piaceva bersi una birra con gli amici, questo sì, magari davanti a una partita dell’Inter in tv, oppure con una pizza prima di una sfida a Fifa, il suo videogioco preferito.
Quelle serate in compagnia le ricordava con piacere e nostalgia. Non ne parlava mai, se non quando ritrovava, una volta ogni tanto (ma proprio “ogni tanto”) qualche vecchio amico, magari di sfuggita, al ritorno da uno dei suoi innumerevoli viaggi di lavoro. Ricordava le chiacchierate, le risate, le avventure e, in particolare, il gusto della birra: rigorosamente in lattina e del discount. La “Gaglhioffen”, la più economica, probabilmente la peggiore in assoluto, ma anche l’unica della quale, dopo opportuna colletta, lui e i suoi amici potessero permettersi due lattine a testa. Un ricordo tanto gradevole quanto eccentrico, visto che ormai da dieci anni era l’amministratore delegato di una multinazionale della birra.
«Amministratore delegato per l’Italia» spiegò a Vincenzo, il suo ex compagno di banco del ginnasio, quando si videro. Tanto per cambiare, di sfuggita, all’aeroporto.
«Beh, complimenti! E poi mica AD di una marca qualsiasi! Sarai felicissimo!»
«Diciamo che dal punto di vista economico non ho di che lamentarmi, ecco.»
«E ti sembra poco? Io invece non è che me la passi proprio benissimo…»
«Uhm… il lavoro non gira? Ricordo che l’ultima volta che ci siamo sentiti, avevi detto che eri soddisfatto…»
«Sì, mi piace molto disegnare ma in questo periodo è un po’ tutto fermo, ecco. In fasi come questa, rimpiango lo stipendio fisso a fine mese, mettiamola così.»
«Guarda, l’aspetto economico è l’unico motivo per cui vale la pena di fare il mio lavoro. Per il resto…»
«Per il resto? Sei a capo di una multinazionale che produce birra: se te l’avessero detto a sedici anni, ci avresti messo la firma!»
Federico rimase per un istante in silenzio, poi si guardò intorno.
«Faccio una vita di merda, Vince.»
«Nel senso che una vita mia non ce l’ho quasi più. Se la sono comprata, capisci? Vedo mia moglie e mio figlio una volta alla settimana o, quando capita, durante il weekend. E poi… la nostra birra la odio. Ma questo rimanga tra noi.»
«Questa è bella davvero. Pensavo fosse un sogno che si realizza, per te. Fate la weiss migliore dell’universo e…»
«E a me fa schifo. Ti mostro una cosa» disse aprendo il trolley.
«Non ci credo…» sibilò Vincenzo.
Sei lattine da 33 cl di Gaglhioffen, quelle con la vecchia etichetta.
«Come hai fatto a recuperarle?»
«Ho un cliente della ex Germania Est che conservava cimeli di questo genere.»
«Perché, la Gaglhioffen la producevano nella Germania Est?»
«La facevano nel basso Campidano. Ma lui è un matto appassionato di birre di tutto il mondo e le ordinava direttamente dall’Italia. Pensa che pagava pure una tangente alla dogana per farle arrivare nel suo paese.»
Per inciso, la Gaglhioffen un giorno fu definita da Alessandro, l’esperto bevitore della compagnia di Federico, «acqua sporca che odora di cane bagnato».
«Bisogna essere eroi o masochisti per rischiare la galera per una birra del genere.»
«Propenderei più per la seconda ipotesi, conoscendo il vecchio Berti. Una volta ha passato una notte in cella per un 45 giri di Afric Simone di contrabbando…»
«Se era “Ramaya”, lo capisco.»
«Infatti non hai mai capito nulla di musica, tu.»
«Ha parlato il cultore: se non è Vasco, il resto non conta…»
«Ah, già. Esistono ancora?»
L’altoparlante chiamò l’imbarco urgente dell’aereo per Amsterdam.
«Prendi queste» disse Federico porgendo tre lattine a Vincenzo.
«Ehi, grazie! Ma secondo te sono ancora “potabili”? Avevano questo design quando noi avevamo sì e no quindici anni…»
«Fidati. Saranno sempre più sane delle porcherie che produciamo noi.»
Federico e Vincenzo si abbracciarono.
«Ok, ma le apro quando torni da queste parti, per festeggiare. Chissà che non si riesca a organizzare una pizza insieme, prima o poi.»
«Guarda, io massimo altri cinque anni così e mi ritiro. Ho già programmato tutto.»
«Fe’, me l’avevi detto già cinque anni fa…»
«Davvero? Come vola il tempo, eh?»